DAZIO UNO E TRINO
La politica dei dazi: dettaglio, scopi ed effetti
Dovremmo provare a sforzarci di considerare se non razionale almeno comprensibile il comportamento del Presidente USA Donald Trump, che è tornato come un ciclone sulla scena politica ed economica mondiale. Al netto delle dichiarazioni eclatanti rivolte più alla pancia che alla testa della sua platea, bisogna riconoscere che le prese di posizione in ambito di economic policy del suo Governo hanno scopi precisi, che conviene aver ben chiari se vogliamo capirne i potenziali effetti.
Tocca quindi tornare a parlare dei dazi, che il biondo ha definito “la parola più bella del dizionario”, concetto che avevamo chiuso in un cassetto della memoria dai lontani tempi dell’Università[1] e che conviene riprendere con specifico riferimento all’idea del tycoon, piuttosto che alle sue caratteristiche teoriche generali, che in gran parte erano dimenticate come retaggio del passato. Nel far questo, prenderemo in prestito alcune idee di uno dei più brillanti strategist sulla nostra scena, Alessandro Fugnoli di Kairos[2]
Dice dunque Fugnoli che la misura tariffaria complessiva nota come “dazio”, nell’applicazione che ne fa Trump, comprende in realtà tre livelli, che si stratificano uno sull’altro: un dazio erga omnes, o “di entrata”; un dazio “di reciprocità” e un dazio “settoriale”.
Il primo, che è del 10% ed è applicato su tutte le merci in entrata, è finalizzato a raccogliere risorse a beneficio del bilancio statale, quindi con l’obiettivo di contribuire a ridurre le imposte o a realizzare i programmi di spesa pubblica. A questo livello, bisogna riconoscere che non si verificano particolari problemi nei rapporti con gli altri stati, in quanto molti di essi applicano misure più o meno simili, anche se con diverse denominazioni. Inoltre, molto probabilmente, e finché resta nell’ordine di quella percentuale, non ha effetti sul livello di inflazione in quanto i venditori esteri tendono ad assorbirlo a proprio carico per non pregiudicare la quota di mercato, a fronte di una riduzione dei margini di profitto che tutto sommato potrebbe per loro essere accettabile. Oltre quel livello, invece, è assai probabile che la misura venga ribaltata sui consumatori, con gli effetti inflazionistici e commerciali che abbiamo descritto nel precedente articolo.
Per sua natura, questo tipo di misura tariffaria è difficilmente negoziabile con le controparti, e lo possiamo considerare permanente, o quanto meno molto stabile.
Il secondo livello è invece finalizzato a migliorare la bilancia commerciale, ed è stato definito come quel livello che compensa quanto imposto, su base bilaterale, dai partner commerciali. Tende quindi a gravare in misura maggiore sui beni e servizi importati dai paesi con i quali lo squilibrio commerciale è maggiore (nel senso di quei paesi che esportano in USA molto di più di quanto importano) o che hanno imposto analoghe misure sulle merci di provenienza statunitense. In questo caso la negoziabilità è massima, ed anzi molto spesso il provvedimento è minacciato proprio come espediente negoziale, e quindi in misura anche più alta del livello teorico di parità.
Non si tratta però solo di un aspetto “politico” o di un bluff, ed è evidente che debba comunque avere un contenuto economico significativo: non avrebbe senso pertanto azzerare i dazi anche totalmente su prodotti che gli USA non esportano in quel paese, e mantenerli invece su quelli effettivamente sensibili. In questo senso la misura può anche essere differenziata per tipologia merceologica, e l’effetto per gli USA sul livello interno dei prezzi dipende – oltre che dall’effettiva misura che verrà applicata al termine dei negoziati – anche dal peso specifico che quel tipo di bene ha sui panieri di rilevamento statistico dell’inflazione.
L’ultimo livello ha infine lo scopo di “reindustrializzare” il paese, ovvero di favorire lo sviluppo (la ripresa o la creazione) di determinati settori industriali che la concorrenza estera ha sbaragliato, rendendo più conveniente importare i relativi prodotti che realizzarli in proprio (si pensi ai semiconduttori, ad esempio). In questo caso la scelta dei settori da penalizzare riflette una decisione di politica industriale, e non è possibile stabilire a priori né l’impatto sull’inflazione né quello sulla bilancia dei pagamenti.
Ne risulta una situazione più complessa di quello che sembra a prima vista, di difficile gestione sul versante economico e finanziario in quanto ci sono due ulteriori aspetti, non irrilevanti, da esaminare: l’impatto sui mercati finanziari (che in questi primi mesi è stato molto forte) e quello sui cambi delle divise.
I mercati sono molto sensibili alla fluidità delle relazioni commerciali, nel senso che penalizzano, molto e subito, i titoli delle società che esportano prevalentemente verso i paesi che aumentano i dazi, come nel caso delle imprese che realizzano molto del loro fatturato in USA. Con la recente “buona novella” dell’accordo con i Cinesi (ammesso e non concesso che vada a buon fine), i mercati hanno infatti festeggiato con grandi acquisti.
Altro aspetto rilevante quello dei cambi. È chiaro che una rivalutazione del paese esportatore, a parità di tutto il resto, aiuterebbe molto la bilancia commerciale degli USA, con un effetto analogo a quello del dazio: da qui la continua richiesta ai Cinesi di tutte le amministrazioni USA affinché il Celeste Impero faccia di tutto per rivalutare il renmimbi. Anche se, come è naturale, il livello del cambio di una certa valuta non è stabilito dai Governi che la emettono, ma dal mercato con la domanda e l’offerta di quella valuta.
Infine, last but not least, Trump deve tener conto della necessità di poter collocare, a condizioni sostenibili, il proprio debito pubblico evitando che un crollo della domanda di Treasury Bonds faccia schizzare in alto i rendimenti e tutta la curva dei tassi di interesse, col che tutto quanto il castello costruito sui dazi rischierebbe di crollare.
[1] Dei dazi e delle loro caratteristiche tecnico-economiche teoriche abbiamo parlato diffusamente nell’editoriale del 4/2/2025 “La legge del Mega” (cfr. https://www.marcoparlangeli.com/2025/02/04/la-legge-del-mega )
[2] Si veda il settimanale di strategia “Il Rosso e il nero”, nell’editoriale “I telonei” dell’8 /5/2025 : https://www.kairospartners.com/wp-content/uploads/2025/05/rn-20250508.pdf
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